Chi vi ricorda questo invito? Le fonti che vengono subito in mente sono due. La prima è Sant’Agostino, che nel Commento alla Prima Lettera di San Giovanni scrive appunto “Ama, e fa’ ciò che vuoi”. Come a ribadire che, una volta che si segua profondamente l’amore come principio-guida (ma il termine è dilige, di ampio significato, non limitato all’ ‘amare il prossimo’, già veterotestamentario), ogni altra dottrina morale perde di rilevanza.
Lo stesso imperativo, “Fa’ ciò che vuoi”, è inciso sul retro dell’AURYN, l’amuleto che rappresenta l’Infanta Imperatrice in La storia infinita di Michael Ende. Libro bellissimo, profondo, radicalmente ridotto (e banalizzato) dal film omonimo di Wolfgang Petersen del 1984, che ne copre solo la prima metà scarsa (e la meno interessante).
La prospettiva in
cui tal principio è qui impiegato è ovviamente diversa: in tutt’altra epoca e
tutt’altro contesto culturale, dopo Freud e dopo varie “morti di dio”, Ende
delinea per il giovane lettore protagonista del romanzo un percorso di
auto-conoscenza, e mostra che l’invito a fare ciò che si vuole, apparentemente
semplice, è il più difficile di tutti.
Chi
può dire in piena coscienza di sapere realmente cosa vuole nel profondo di sé? Dietro
questa domanda non c’è l’idea banale del cercare sé stessi, il concetto ‘pop’
di inconscio… essa lascia intravedere secoli di dibattito filosofico e
scientifico sulla ‘volontà debole’, sull’enigma del conflitto interiore, la
peculiarità umana che tutti abbiamo conosciuto almeno una volta nella vita,
di credere di volere una certa cosa, ma di fatto non riuscire a
metterla in pratica. (continua qui)
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